La Corona del Ferro

LA CORONA DEL FERRO
CHIODO FISSO DI PANTALONE

 

scritto e diretto da Nicola Cavallari
Pantalone: Vincenzo Valenti/Nicola Cavallari
Zanni: Gianluca Soren/Dario Sanna
Sergente D’Argeant: Denis Michallet
Capitano Fritzer Sacher Torte: René Fourés/Dario Sanna/Debora Migliavacca
Esmeralda: Elisabetta Bocchino/Eleonora Giovanardi/Debora Migliavacca
Napoleone: Stefano Vagnoni/René Fourés/Nicola Cavallari

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Tra leggenda e tradizione
La Corona Ferrea, anticamente detta Corona del Ferro, è la preziosa corona che venne usata dall’Alto Medioevo fino al XIX secolo per l’incoronazione dei Re d’Italia e che a lungo cinse il capo degli imperatori del Sacro Romano Impero.
La tradizione vuole che la lamina di metallo che unisce le placche che la compongono sia stata forgiata con il ferro di uno dei chiodi della croce del Cristo, e per questo motivo la corona, custodita nel Duomo di Monza, è venerata anche come reliquia.
A metà tra storia e leggenda, si narra che nell’anno 324 Elena, madre dell’imperatore Costantino I, avesse disposto alcuni scavi sul Golgota in cerca delle reliquie della passione di Gesù. Fu così ritrovata la croce e i chiodi in essa ancora conficcati. Dei tre, uno fu gettato in mare durante il rientro a Roma, per placare una terribile tempesta, mentre i due rimasti furono fatti fondere da Elena nell’elmo di Costantino e nel morso del suo cavallo, perché la mano del Signore proteggesse entrambi in battaglia.
Secoli dopo entrambi i cimeli furono portati a Milano da Teodosio I, che ivi risiedeva. Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente l’elmo fu trasferito a Costantinopoli e in seguito reclamato da Teodorico il Grande, re d’Italia, il quale aveva a Monza la sua residenza. I bizantini gli inviarono il diadema trattenendo però la calotta dell’elmo. Il “Sacro Morso” invece, rimasto a Milano, è tutt’ora conservato nel Duomo della città.
La Corona Ferrea fu usata, oltre che dai re Longobardi, da Carlo Magno e dai suoi successori. Tra un’incoronazione e l’altra, la Corona Ferrea risiedeva nel Duomo di Monza, che per questo motivo era dichiarata “città regia”, proprietà diretta dell’Imperatore, e godeva di privilegi ed esenzioni fiscali.
L’incoronazione più famosa è però quella di Napoleone Bonaparte, il quale nel maggio del 1805, durante la cerimonia predisposta nel Duomo di Milano, prese personalmente la Corona e ponendosela sul capo pronunciò la famosa formula: “Dio me l’ha data, guai a chi la tocca!”.
Il prezioso cimelio è in lega di argento e oro ed è composto di sei placche legate fra loro da cerniere verticali e adornate di ventisei rose d’oro a sbalzo, ventidue gemme di vari colori e ventiquattro gioielli a smalto. Lungo la faccia interna della Corona corre la lamina circolare tradizionalmente identificata con il Sacro Chiodo. Le ridotte dimensioni (il diametro è di 15 cm) la rendono inadatta a cingere la testa di un uomo, e per questo si ritiene che in origine fosse composta di otto placche.
Nel 1993, la corona è stata sottoposta ad analisi scientifiche e il verdetto è stato clamoroso: la lamina non è di ferro, bensì d’argento! Ciononostante la Corona Ferrea non ha mai smesso di esercitare il suo magico fascino di simbolo della tradizione e del potere, e a testimonianza della sua fama giunta anche oltre oceano, viene citata da Melville nel suo Moby Dick, quando al capitano Achab fa pronunciare bellissimi versi ad essa ispirati.

 

La storia nella storia

Corre l’anno del Signore 1796 quando le armate di Napoleone Bonaparte invadono l’Italia, costringendo l’Arciduca Ferdinando d’Austria a ritirarsi frettolosamante in quel di Venezia, seguito dalle sue truppe in fuga.

In ogni città, in ogni minuscolo paese abbandonato dagli odiati austriaci, la popolazione si abbandona ai più furiosi festeggiamenti, inneggiando alla riconquistata libertà. Le effigi, gli ornamenti e tutto quanto ricordasse la sconfitta potestà vengono distrutti o dati alle fiamme, non lasciando che cenere e macerie.
Ben presto però, con l’arrivo dei francesi, nuovi padroni, ci si accorge di quanto la riconquista sia in verità illusoria e fugace. Il sogno s’infrange – e il risveglio è amaro – quando i Commissari napoleonici s’impossessano dei più bei palazzi, delle ville patrizie e di ogni ricchezza e opera d’arte, e quando delle stesse essi prendono a fare mercato svendendole senza alcun criterio al primo offerente, talora per pochi denari.
Sulla città di Monza, ove la Corona Ferrea è custodita, si accaniscono in particolare i messi imperiali: la Villa Reale è ceduta a un certo Meuron, il quale ha la sorte di acquistarla per sole centottantamila lire. Per provvedere alle ingenti spese militari, la Basilica è costretta a consegnare alla Zecca di Milano i due terzi degli ori e degli argenti che essa possiede, perché ne venga fatta moneta.
L’esercito francese non manca di spogliare il Tesoro e la Biblioteca Capitolare Monzese dei cimeli e dei preziosissimi codici in essa custoditi. Non pago, lo stesso Napoleone, per tramite del suo generale Alessandro Berthier, ordina l’abolizione del Capitolo dei Canonici. Tutti i beni ad esso appartenenti sono incamerati dalla nuova amministrazione e all’Arciprete viene intimato di dismettere la mitria e le insegne pontificali, potendo mantenere solamente il semplice appellativo di parroco. Finiscono così nella biblioteca Capitolare di Parigi oltre 200 codici e incunaboli di valore inestimabile, nonché la corona appartenuta alla Regina Teodolinda, quella di Agilulfo e altri preziosissimi cimeli tra cui il vaso di zaffiro, la Croce del Regno e via dicendo. La Corona Ferrea, stranamente, viene risparmiata da cotanto scempio, forse per il suo carattere di oggetto sacro o per il rispetto che per essa si porta. O forse per via del fatto che lo stesso Bonaparte vi ha messo gli occhi sopra, essendo intenzionato a inoronarsi con essa e a farne il simbolo della propria supremazia.
Ma se fin qui è la Storia a dire la sua, da questo momento in poi siamo noi a raccontare come andarono i fatti…

 

Il canovaccio
Il canovaccio è originale, scritto e messo in scena per Macherà dal gruppo stesso, e si ambienta in Monza nell’anno 1805, nei giorni precedenti l’incoronazione di Napoleone. In scena, oltre all’Imperatore, sono il sior Pantalone, il Zanni, servo suo, il capitano austriaco Fritzer Sacher Torte, la bella Esmeralda e il sergente D’Argeant, messo dell’esercito imperiale.
Il sior Pantalone è scappato da Venezia, dove l’Arciduca d’Austria, in fuga a sua volta dalle truppe napoleoniche, ha preso a imporre balzelli d’ogni sorta per rifarsi delle ricchezze perdute. Monza, invece, città regia, gode di speciali privilegi e irrinunciabili esenzioni fiscali. Di più: i franzosi svendono le proprietà demaniali, dunque, con un po‘ d’arguzia, ecco il modo per mettere le mani sulla preziosa Corona Ferrea!
Pantalone reca con sé il fido Zanni e la bella Esmeralda, discendente di Elena, madre dell’imperatore Costantino, rapita in Terra Santa durante una scorreria assieme ad altre ricchezze con la speranza di ricavarne un riscatto. Ma non essendosi fatto avanti nessuno per il pagamento, Esmeralda sarà sua sposa: è deciso!
Venuta a conoscenza dei piani odiosi del suo aguzzino, Esmeralda racconta le sue disgrazie e invoca l’aiuto della lontana ava Elena, ché nella grazia di Dio per aver recuperato le reliquie della Croce sul Golgota possa proteggerla dall’alto. Che sia veramente Elena ad ascoltare il pianto della ragazza non è dato sapere, ma in quello giunge il sergente D’Argeant, che al solo vederla se ne innamora perdutissimamente di un amore sincero e presto ricambiato.
Prima però che nulla possa succedere, il sior Pantalone coglie sul fatto i due e sfida a duello l’ardito D’Argeant! Lo scontro sarebbe impari, lo sa bene il Zanni, il quale, conosciuta l’identità del francese, convince il padrone a rinunciare al duello nell’intento di spuntare condizioni di favore e di conoscere il nascondiglio della Corona. D’Argeant cade ingenuamente nel tranello dell’astuto servo ed ecco che nella notte Pantalone e Zanni si accingono a compiere il furto. Non sono però i soli: si aggira per la città con uguali intenzioni, in gran segreto, il capitano Fritzer Sacher Torte, deciso a ritornare la corona al suo Arciduca. I tre decideranno di accordarsi per compiere insieme il furto ma ciascuno tramerà in cuor suo per tradire gli altri e tenere per sé il prezioso trofeo.
Nel mentre D’Argeant, trovata Esmeralda, le dichiara il suo amore e l’intenzione di portarla con sé per prenderla in moglie. Finalmente libera, Esmeralda metterà al corrente l’amato delle trame del sior Pantalone circa la Corona, così il sergente potrà cogliere sul fatto i tre malintenzionati. L’austriaco sarà dunque imprigionato e Zanni perdonato per buon cuore, ma quale sarà il destino di Pantalone, della Corona e di Esmeralda? Ecco che Napoleone in persona giungerà, come deus ex machina, a risolvere tutto con decisione salomonica: D’Argeant ed Esmeralda si sposeranno, a sancire la futura pace tra la discendenza di Costantino e l’Impero, e Pantalone, per la sua cupidigia, pagherà egli stesso il banchetto nuziale. In cambio la Corona sarà sua: sarà condannato ad esserne custode a vita e come lui i suoi discendenti!